UN GRAZIE POST-TOUR

Citazione

Il primo tour sull’Arte del Processo e la Democrazia Profonda in Italia si è concluso, Ana è tornata in Scozia, ho accompagnato Genny al suo ecovillaggio in Toscana, ed io sono rotolata verso la mia bella Puglia, con un cuore gonfio di gioia, di gratitudine e di prossimi passi da fare.

L’elenco delle persone e dei gruppi che ci hanno sostenuto sarebbe troppo lungo, forse noioso da leggere… allora mi limito ad un fragoroso GRAZIE, da tutti i livelli, ad ognun* di voi…

GRAZIE nella realtà consensuale, per averci ospitate nelle vostre case e associazioni, per averci nutrite con cibi deliziosi, accompagnate per le strade di queste quattro città così piene di meraviglie, per aver partecipato in un numero così grande e per i contributi economici che hanno reso sostenibile questo viaggio.

GRAZIE dalla terra del sogno, per tutte le emozioni emerse, per averci sostenute psicologicamente (prima, durante e dopo), per averci sfidate e messe in discussione, per averci riconosciute nei nostri ruoli di ‘seminatrici’ di Democrazia Profonda, per esservi mess* così profondamente in discussione, per chi non c’era fisicamente ma comunque c’era.

GRAZIE dall’essenza per aver creduto in noi, per aver visto in questo progetto qualcosa di più grande di un sogno personale, per aver fatto sì che un primo grande seme di Arte del Processo in Italia potesse trovare spazio e nutrimento in così tanti cuori… in due settimane abbiamo incontrato circa duecento persone!!

DDtour-locandina

Roma ci ha accolto nella complessità della sua diversità: quanti musicisti suonano la stessa musica senza accordarsi? Quante associazioni lavorano per il bene comune, ma senza riuscire a comunicare dal cuore, tra loro e con la cittadinanza?

Il campo fiorentino delle Murate ci ha vist* affrontare il tema della libertà d’espressione: la sensazione che molt* hanno avuto è stata di profonda guarigione, per i partecipanti come per quelle mura che per secoli sono state prima convento e poi carcere femminile…

A Milano abbiamo costatato come la leadership si può vedere da diverse prospettive, attraverso la lente dei quattro archetipi: in un gruppo c’è bisogno di sciamani quanto di buoni re, di amazzoni quanto di grandi madri.

L’ultima tappa, Torino, ci ha permesso di approfondire il tema della trasformazione del conflitto: la spirale della violenza, attraverso la consapevolezza, si può evolvere in un cammino di crescita personale e collettiva.

Una frase che Ana ha spesso ripetuto continua a risuonarmi: la pace non è assenza di conflitti o tensioni, ma un momento di coraggio dove cambio il mio punto di vista sulle cose.

Grazie a tutte le persone che, con coraggio, più o meno consapevolmente, fanno delle loro azioni baluardi di pace, mettendosi in discussione, cercando di vedere il mondo con gli occhi di chi la pensa diversamente. In questo cammino ne abbiamo incontrate tantissime.

E grazie se continuerete a sostenere il progetto della scuola sul sito Arte del Processo e sulla pagina FB, se ci scriverete per darci i vostri feedback a artedelprocesso@gmail.com, se ci aiuterete a diffondere i prossimi corsi… Ma anche se ci manderete buoni pensieri!

Grazie, grazie, grazie.

 

Riflessioni dal Worldwork

Citazione

Wake up!!

Svegliamoci!

Dieci minuti al giorno di consapevolezza, anche mentre siamo in bagno!!

Dieci minuti al giorno, e cambieremo il mondo.

Arny Mindell durante il Worldwork

Durante il Worldwork 2014 a Varsavia abbiamo parlato di politica, dei molti modi di fare politica. Scendendo in piazza, facendo la spesa, facendo l’amore, nelle relazioni che intessiamo.

Abbiamo affrontato il dolore che deriva dalla storia, la vergogna e la rabbia che le generazioni si portano dentro: una Polonia oppressa da russi e tedeschi, il senso di impotenza dell’Ucraina, il fantasma degli Stati Uniti sempre presente, il desiderio di risorgere della Grecia, le caste in India, i grandi dittatori che hanno scritto la storia del XX secolo, Stalin, Hitler, Franco… e abbiamo cercato di vedere quelle parti dittatoriali dentro di noi, abbiamo preso coscienza di quanto sia facile ripetere gli schemi del passato senza questa consapevolezza.

L’omofobia, il razzismo, la discriminazione di genere e di età, l’abuso sui bambini, la violenza segreta vissuta quotidianamente in famiglia, le difficoltà relazionali tra uomini e donne, l’oppresso che diventa oppressore, la ciclicità della violenza attraverso la vendetta, lo sfruttamento delle risorse ambientali da parte dei paesi ‘ricchi’: abbiamo visto come i temi sociali sono legati a quelli politici, a quelli economici e a quelli ambientali, e che non si può risolvere un problema senza prendere in considerazione anche tutti gli altri.

I vari livelli dei problemi sono interconnessi, perciò risolvendone uno senza prendere in considerazione tutti gli altri raramente produce effetti a lungo termine.

Le vostre esperienze interiori, i vostri rapporti e il vostro futuro sono collegati all’economia, ai crimini, alle droghe, al razzismo e al sessismo non solo del vostro gruppo etnico o della vostra realtà locale, ma di tutti i gruppi etnici della vostra realtà immediatamente più ampia.

Ciò significa che lavorare ad un qualunque problema significa lavorare all’intera storia della specie umana. Poiché il Worldwork lavora con l’atmosfera e con il campo di un gruppo, oltre che con gli individui e il loro ruolo nelle organizzazioni, non affronta i problemi in modo lineare, uno alla volta. Affronta tutti i problemi del mondo simultaneamente.

Arnold Mindell, ‘Essere nel Fuoco’

E dietro a tutti questi temi globali, che tanti paesi toccano, ci sono tante voci che vogliono essere ascoltate, tant* bambin* che vogliono essere vist*, ci sono storie che non possono rinunciare a raccontarsi,  i sentimenti, i sogni e le aspettative per un futuro diverso per le/i nostr* figl*.

Ed è soprattutto negli asili e nelle scuole, secondo Arny, che si può influenzare la politica: insegnando ai bambini come usare il proprio potere, senza delegarlo e proiettarlo in qualcosa fuori di loro, senza abusarne, comprendendo insieme che ci sono molti modi per affrontare i conflitti.

Più le/i nostr* figli* cresceranno consapevoli del loro rango e del loro potere, meno dittatori/dittatrici avremo nel mondo.

arny e amy mindell

Arny ed Amy Mindell giocano con i bambini durante la celebrazione finale del Worldwork.

worldwork

Ogni giorno oltre 500 persone si riunivano nella biblioteca universitaria di Varsavia per discutere, attraverso la filosofia della Deep Democracy, di temi legati a politica, economia, aspetti sociali di questioni globali.

Preparandomi per il WORLDWORK

Oggi i problemi politici mondiali non sono solo affare per la parte ricca e educata della società, così come lo sviluppo economico non è solo questione di borsa.

Nel nostro magico piccolo pianeta, dove l’atmosfera non può più esser controllata da scienziati, politici, preti o stregoni, la situazione mondiale è affare di tutt*.

Non possiamo permetterci di lasciarla ad altr*.

Il tempo è maturo per sviluppare un Worldwork che connetta esperienze transpersonali  con la realtà mondana, il servizio spirituale e l’attività politica, l’altruismo orientale e il razionalismo occidentale, il lavoro con i sogni e quello con il corpo.

Arnold Mindell – ‘The leader as a martial artist’

Il tempo è quello giusto, è adesso.

Non possiamo più sommergere i disaccordi nel politically correct, non possiamo aspettarci che qualcun altr* scelga per noi: è tempo di sedere nel fuoco del conflitto, guardare l’altr* negli occhi, vederne tutta la diversità, sentire come attraverso l’incontro possiamo conoscere noi stess* più profondamente.

E’ il momento di portare la pace nelle nostre case, nei nostri uffici, nelle nostre relazioni, qui e ora, e così portare pace in Ucraina, in Palestina, in Egitto. Non possiamo permetterci di rimandare, aspettare, delegare.

Le situazioni turbolente che si presentano durante i periodi di rapido cambiamento, e persino le rivoluzioni, sono piene di potenziale significato e ordine.

Direi che la mia vita non è mai stata così piena di emozioni contrastanti come negli ultimi mesi, così caotica, depressa, adrenalinica, autodistruttiva, entusiasmante.

Direi che sono pronta per il mio primo Worldwork.

27 Aprile | 2 Maggio 2014 | Warsaw

Il Worldwork è stato sviluppato da Arnold Mindell, fondatore della Process Oriented Psychology e dai suoi collegh*. Il Worldwork è un seminario esperienziale di 6 giorni che ha luogo circa ogni due anni, sui conflitti e la costruzione di comunità: tre-quattrocento persone provenienti da oltre trenta paesi si riuniscono in un forum per concentrarsi su argomenti legati alla politica, all’ambiente, al sociale, utilizzando gli strumenti della Deep Democracy.

Celebrare il proprio Rango

Citazione

Qualunque sia il nostro rango, sociale, spirituale, psicologico o contestuale, è spesso una sfida diventarne consapevol*, e diventare consapevol* dei privilegi che ne derivano. Con la consapevolezza arriva la possibilità di usare il potere in nome della comunità: ecco alcune vie che permettono di fare un buon uso del proprio rango:

  • ricorda di amare e rispettare te stess*: questo ti permetterà di essere più gentile con l’altr*
  • divertiti nell’esprimerti e nel parlare, e prendi in considerazione l’ascolto profondo dell’altr*
  • considera l’uscire dalla tua ‘comfort zone‘, permettiti differenti stili nella comunicazione, sperimentati in ruoli differenti dalla norma…
  • esprimi fino in fondo la tua posizione e le tue idee, poi sperimenta un punto di vista diverso, mettendoti nei panni dell’altra persona
  • sii dispost* ad imparare dall’altr*, e ad insegnare ciò che sai
  • cerca di prevedere dove avrai un rango alto: non cercare di nasconderlo a te stesso ne’ agli altr*. Riconosci di avere un rango ed impara ad usarlo nel migliore dei modi
  • trova e gioisci della libertà che hai nelle situazioni dove hai meno rango, esattamente per questo motivo. Usa la tua libertà a beneficio di tutt*.
  • considera il feedback dell’altr* su come usi il tuo potere
  • rifletti su come il tuo rango può essere usato a beneficio del sistema, ad esempio per creare cambiamento o per far crescere la consapevolezza circa un argomento o per far sentire l’altr* a proprio agio…

maestra

Buone regole che ho imparato in comunità

 ognun* trova la sua comunità, ognun* sceglie le regole che vuole seguire. e quelle che non vuole seguire. e quindi la comunità che vuole lasciare…

ci sono regole personali e regole di gruppo. regole non scritte e regole segrete. comunità che dicono: ‘la nostra regola è che non ci sono regole!’ e altre che ne hanno così tante che poi se le dimenticano, e tutti fanno un po’ come gli pare.

a me già la parola ‘regola’ mi stranisce un po’.  re-gola. un monarca che urla tanto?

nel mio viaggiare per comunità mi sono appuntata alcuni punti da tenere a mente. magari possono servire a qualcun altr*? certe cose si imparano sulla propria pelle, ma vedi mai…

(sono appunti dal mio diario: si rivolgono ad una te che sono io. cioè, sono consigli che do a me stessa.)

il conflitto non si risolve. si affronta, si vede, si ascolta, si trasforma. come l’energia.

quando inizi un ciclo, una gestalt, chiudilo.

stai nel fuoco, sempre.

ascolta profondamente tutto quello che succede intorno a te: interno è esterno, esterno è interno.

prenditi tutta la responsabilità di ciò che dici e fai e senti.

vai oltre le parole.

il pericolo dell’inconsapevolezza.

non reprimere i bisogni personali nel desiderio dell’appartenenza.

tutto il mondo è paese, i conflitti sono sempre gli stessi… autonomia, potere, denero, abuso, indipendenza, autorealizzazione.

ognun* riceve ciò di cui ha bisogno. poi sceglie se accoglierlo o meno…

se non riconosci il tuo valore, difficilmente gli/le altr* lo faranno.

quando trovi il tuo progetto, il tuo sogno, la tua essenza… seguili, ad ogni costo. pena la malattia.

verità, sempre. (e ognun* ne ha una parte, in ogni caso…)

io sono liber*.

la relazione così come il conflitto si costruiscono da entrambe le parti.

tanta luce, tanta ombra.

entra in ogni luogo sacro in punta di piedi.

ascolta, poi parla (eventualmente)

ognun* vede quello che vuole vedere.

la perfezione dell’imperfezione.

…segue!

MAINSTREAM

NORMALITà. ecco una delle parole che più mi fa venire un senso di prurito in tutto il corpo. una casa normale, un lavoro normale, una relazione normale, de* figl* normali. una vita normale. chi definisce la normalità? una statistica? una maggioranza democratica? l’assenza di patologie? quella di Truman era una vita normale??? mi innervosisco.

‘Non deve sorprendere che chi sente la spinta a correggere gli errori della nostra cultura possa essere dispotico, intollerante e incline alla faziosità e alle lotte intestine. Siamo tutti oppressi da una dominazione interna. Il desiderio di cambiare il mondo ci spinge ad usare ogni tipo di potere. Una vittima dell’antisemitismo può essere razzista. Una vittima del razzismo può essere omosessuofobico. Alcune vittime dell’omosessuofobia sono sessiste. Chiunque di noi può essere vittima di un processo e simultaneamente carnefice in un altro’

Arnold Mindell

nonostante questa mia repulsione nei confronti della ‘normalità’, non posso fare a meno di pensare che come c’è un pensiero dominante in ogni cultura, così è presente un pensiero dominante in ogni individuo, me compresa. e allora penso: qual è il mainstream dei miei pensieri? quando mi sento normale, a mio agio in una situazione, coerente con i miei valori?

definire cosa per me è normale e cosa non lo è mi mette in guardia sul pregiudizio, e quindi sul possibile abuso che posso fare rispetto a quelle parti di me che tendo a marginalizzare. più mi definisco e racchiudo il mio essere entro certi schemi, più definisco ciò che non sono, che è altro da me. e così divido, separo, escludo, strappo.

mainstream è l’idea di brava ragazza che ho di me,

laureata, pulita, altruista, educata, morbida e dolce,

è l’abitudine a mangiare sempre un po’ di più del necessario e vedermi grassa

(e il pensiero che è compensazione per mancanza d’affetto),

è quel sentimento di inadeguatezza costante, non sentirmi mai né carne né pesce,

è un muro di tabù,

è quel leggero senso di colpa se mi metto i tacchi e il rossetto rosso,

è il pensare che non ce la farò perché sono una donna,

è non esprimere i miei sentimenti, e la rabbia in particolare,

è la paura di viaggiare da sola e la pretesa di non aver bisogno dell’aiuto di nessun*,

è sottomissione e seduzione,

è il principe azzurro, il cavallo bianco e il castello in cima alla collina.

 

e tu? cosa fai per essere accettat*?

quali pensieri allontani perché non conformi a ciò che ti è stato insegnato essere giusto?

passeggiando per le vie del centro e guardando le persone che incontri, cosa consideri normale e cosa no?

cactus mainstream

* (blog gender-free)

qualche sera fa mio cugino Marco, che vive in Finlandia, stava raccontando, durante un incontro di famiglia, delle usanze di galanteria nordiche: offrire la cena o un drink ad una donna, così come tenerle aperta la porta, possono essere considerati atti profondamente offensivi, da parte della donna stessa. ‘pensi forse che non possa farlo da sola? o stai cercando di sedurmi mostrandomi il tuo potere economico e la tua forza virile??’

oltre all’aver notato un po’ di resistenze nella parte maschile della famiglia ad accogliere il concetto, la conversazione mi ha dato modo di constatare come per una parte della cultura occidentale-cattolica il femminile sia considerato ancora ‘debole’.

così debole che nella lingua italiana basta un solo elemento maschile, in un gruppo, per far sì che grammaticalmente si utilizzi la coniugazione maschile.

per questo ho scelto di usare l’asterisco in questo blog, per le generalizzazioni, perché non ho più voglia di usare il maschile, nel plurale. non lo trovo profondamente democratico.

quindi, mi* car* lettrice/tore, questo asterisco, questa stellina, mi ricorda ogni volta la bellezza della diversità, perché il mio concetto di pluralità, di comunità, trascende il genere, comprende il femminile e il maschile, l’omosessuale e l’indecis*, l’asessuat* e l’omofob*.

gender free

Storie di Comunità (I) – l’accendino

LA STORIA DELL’ACCENDINO ROSSO

(ovvero perchè le cose vanno come vanno)

(secondo me…)

 

c’era una volta una comunità, e all’interno della comunità c’era una cucina.

dentro la cucina c’erano tante cose utili e meno utili… pentole e mestoli di ogni sorta, stracci, coperchi e scolapasta.

poi c’era un accendino rosso, che serviva ad accendere la fiamma pilota.

quell’accendino era molto importante per la cuoca Gelsomina, perché gli permetteva di cucinare per tutta la comunità: di coltelli ce n’erano tanti, ma di accendini ce n’era uno soltanto.

un giorno passò dalla cucina Piero, con una gran voglia di fumare una sigaretta, ma… non aveva l’accendino! il bisogno era impellente, l’accendino rosso a portata di mano e… il gioco presto fatto!

inutile dire che Piero si dimenticò di rimettere l’accendino rosso al suo posto…

quando Gelsomina arrivò in cucina, non trovando l’accendino, si arrabbiò moltissimo! ma poiché aveva poco tempo non si mise troppo a discutere, ne comprò un altro e lo legò con un cordino.

ma anche l’accendino col cordino ebbe vita breve, e Gelsomina ne prese un terzo, che inchiodò.

e quello dopo lo incollò.

e il successivo lo murò.

alla fine decise di legarsi un nuovo accendino al collo. ci andava a dormire anche di notte…

la stessa cosa successe anche per l’accendino del tempio: Giuliano, il responsabile del tempio, anche lui decise di legarsi al collo l’accendino… e così via, finché tutt* non ebbero il proprio accendino attaccato al collo. la stessa cosa accadde, in quella strana comunità, per il martello, per le penne, per le usb, per i telefoni fissi, per le pentole e… perfino per la carta igienica!

tutt* andavano in giro portando addosso tutto quello che poteva occorrergli: immaginatevi quante ripetizioni e quanti sprechi! nessun* si parlava più, tutt* gelosissimi dei propri strumenti di lavoro e di quotidiano uso, appesantit* dal carico e irritat* da come le cose erano degenerate… ognun* pensava al proprio beneficio, appena qualcun* lasciava qualcosa da qualche parte o perdeva uno dei suoi oggetti, qualcun’altr* se lo accaparrava e se lo metteva al collo o alla cintura.

crebbe la paura, e di conseguenza la sfiducia, l’egoismo e la noncuranza di tutto ciò che non era appeso al proprio corpo.

sarebbero potute le cose andare diversamente?

forse sì, se Piero avesse avuto la consapevolezza che quell’accendino non era di Gelsomina, ma di tutta la comunità.

 

nb: ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti è puramente casuale.

Quando hai un alto rango…

quando hai un alto rango,

sei tu a determinare quanto sei disponibile alla relazione. stabilisci tempo, luogo e durata.

(ci incontriamo al bar alle 11, giusto un’oretta, che oggi ho molto da fare…)

e determini anche lo stile della comunicazione.

(bene, ragazzi, oggi dobbiamo essere operativi, pochi fronzoli)

probabilmente potrai notare una tendenza ad essere ‘freddo’, distaccato e razionale.

ovviamente ti aspettarsi che gli altri si comportino nello stesso modo.

(che fai? piangi?????)

quando emergono problemi nella relazione, pensi che siano solo dell’altra parte in causa. Non puoi capire gli altri e li vedi come pazzi, illogici, disturbati o arrabbiati.

(io non ho parole. ma sono circondata da cretini? eppure dicevano che nel circolo della sostenibilità, della spiritualità e compagnia bella, ci finivano persone di cultura medio alta.

mi sa che ho sbagliato associazione.)

il tono è distaccato, obiettivo, accondiscendente, protettivo.

(…senza parole… guardo l’altro fisso negli occhi… il capo accenna un movimento lento e rincuorante di assenso… penso: capisco… ma sono cazzi tuoi… solo cazzi tuoi…)

senso di superiorità, compiacimento, self-confidence, alta autostima.

(vedrai, andrà tutto bene. e per qualsiasi cosa chiamami, che io di ‘sta roba ne so a pacchi. sai quante ne ho passate…! ti ho raccontato di quella volta che ho parlato davanti a 500 persone con la febbre a 39 e un parto trigemellare in arrivo? io sono la maga delle conferenze improbabili… e non ne ho mai toppata una!)

ho i brividi.

e un po’ di nausea.

riconosco in me molti di questi sintomi/atteggiamenti.

e la mia pelle ha vissuto molte volte l’essere in una situazione di basso rango.

beh, mi rassicuro un attimo: la consapevolezza è il primo passo per evitare l’abuso.

rango e abuso